A noi di ViaggiArte pare, al contrario, di trovarci di fronte a scene parecchio amare e in alcuni momenti, tragiche; l’urlo del neo eletto Card. Melville, interpretato dal grande attore francese Michel Piccoli così amato da altri grandi del cinema quali Luis Bunuel, Claude Sautet, Marco Ferreri, ci sembra non contenere nulla che possa scatenare sentimenti gioiosi o di ilarità, tutt’altro.

La scena di quell’urlo così disperato e straziante, la fuga che intuiamo avvenire tra premeditazione e indecisione, racchiude tutto il messaggio dell’autore, tutta la disperazione dell’uomo e le paure che lo assalgono ferocemente nel momento dell’offrirsi ai suoi fedeli.

Come è stato già detto e osservato più volte nelle recensioni fin qui stese in merito al film di Moretti, il fulcro centrale della pellicola e l’obiettivo del regista è quello di mostrare la fragilità dell’essere umano, le paure che si nascondono sia in ognuno di noi e ancora di più in coloro che devono portare il fardello di grandi responsabilità; e in ogni caso il timore di non essere all’altezza di soddisfare le aspettative di coloro che ci circondano, il sentirsi troppo deboli per affrontare gli oneri ai quali la nostra esistenza quotidianamente ci sottopone, è uno dei temi più attuali che ricorre nel nostro tempo contemporaneo.

La trama del film è ormai ben conosciuta al pubblico: alla morte del vecchio pontefice, si apre in Vaticano il conclave; la scelta, dopo varie fumate nere, cade sul cardinale Melville,(il nome sarà legato al famoso scrittore statunitense autore di “Moby Dick” o al regista e sceneggiatore francese Herman Melville?) che però, immediatamente prima di presentarsi ai suoi fedeli al balcone di Piazza San Pietro, viene preso improvvisamente da un attacco di panico e poco prima di  affacciarsi, scappa via urlando terrorizzato.

Ecco che Moretti entra in scena nelle vesti dello psicanalista e a lui viene affidato l’arduo compito di aiutare il nuovo pontefice a superare i suoi timori e le sue paure; ma tale compito si delineerà già dal primo incontro tra i due alquanto complicato, in prima istanza per l’impossibilità da parte del medico di  colloquiare privatamente con il pontefice, e in secondo luogo perché Melville , alla prima occasione, scapperà dal Vaticano e si confonderà, indossando abiti comuni, tra la folla della capitale.

E qui già intravediamo una certa polemica da parte del regista nel mostrarci il personaggio pubblico come un’identità alla quale non è permessa alcuna privacy: il colloquio tra medico e paziente avviene sotto lo sguardo indiscreto di tutti i cardinali e neanche allo psicanalista è permesso indagare su molti degli aspetti privati e passati del pontefice; com’è possibile quindi aiutare l’uomo Melville?

Le prime riprese si muovono tra i vari spostamenti della telecamera, dalla piazza alla cupola, dal cielo verso la folla in basso, in un movimento ascendente/discendente che ci fa muovere tra terra e cielo, umano e divino, Chiesa e umanità …

Sappiamo bene che il cinema di Moretti spazia tra dramma e ironia, tra tragico e comicità, tra polemica e allusione, e qui l’ironia e la polemica non mancano sicuramente, soprattutto quelle rivolte alla categoria dei giornalisti più volte criticata nelle scene in cui essi commentano in diretta l’elezione.

Altra ironia spudoratamente efficace nel film è quella rivolta alla figura dello psicanalista che, come spesso accade, tratta i casi a lui sottoposti in maniera stereotipata e adattando alla moltitudine dei pazienti il medesimo clichè: il “deficit di accudimento” al quale la psicanalista interpretata da Margherita Buy , ex moglie nel film dello psicanalista Moretti, attinge costantemente per i suoi casi clinici, ci fa piacevolmente sorridere … così come ci inteneriscono le figure dei cardinali che, attendendo con pazienza che il papa “rinsavisca”, non essendo al corrente che il pontefice è sparito tra le strade della città, cercano di intrattenersi chi giocando a carte, chi leggendo, chi assumendo tranquillanti e ad un certo punto accennando addirittura qualche passo di danza sulle note della canzone spagnola di Mercedes Sosa “Todo cambia”.

Commedia grottesca quindi, oltre ad essere dramma umano e coscienti che le critiche, soprattutto dai vari giornali cattolici, non sono state tutte benevole nei confronti di questo Moretti, troviamo che talune recensioni del periodico “Avvenire” abbiano colto nel segno alcune mancanze del regista: in effetti viene da chiedersi perché questi cardinali vengono mostrati nelle loro varie mansioni e mai in un momento di preghiera, in un rivolgersi a Dio, in un ricorrere al suo aiuto e alla sua intercessione? Omissione voluta o dimenticanza?


Sicuramente l’attenzione del nostro regista è concentrata più sull’umano che sul divino, anche se le due dimensioni, in alcune realtà, sono spesso inscindibili; intenti diversi anche fra opere filmiche quali quella di Moretti e quella, ad esempio,  del bel film di Xavier Beauvois “Uomini di Dio”, dove anche per la tragicità dei fatti legati all’argomento trattato, viene dato largo spazio alla dimensione spirituale e alla preghiera.

I momenti più belli e significativi del film sono senz’altro all’inizio e in alcune scene che possono anche sfuggire, come ad esempio quella nella quale il pontefice/uomo Melville viaggia in metropolitana ripassando a voce alta l’eventuale discorso ai fedeli attorniato da gente qualunque; poco distante da lui un giovane, in conversazione telefonica presumibilmente con la fidanzata, le sussurra piano come non possa vivere senza di lei …

Altro aspetto che emerge dalla pellicola di Moretti è la solitudine insita nello stato clericale e nella condizione del prete d’oggi; la psicanalista Margherita Buy chiede al pontefice, non essendo a conoscenza della vera identità del suo paziente: “Ha legami affettivi?” – “No – risponde Melville – è la mia vita …”.

Forse la parte in cui i cardinali giocano a pallavolo risulta essere la più noiosa e meno significativa del film (la scena ne riecheggia un’altra del suo “La Messa è finita”), dove il regista si sofferma e si dilunga troppo su un’azione scenica della quale avrebbe benissimo potuto fare a meno.

Interessante, invece, il legame con il teatro e l’opera di Anton Čechov: Melville manifesta più volte l’interesse per l’autore, la conoscenza dei suoi testi e la passione giovanile per la recitazione.

Si troverà infatti ad assistere alla trasposizione teatrale dell’opera dello scrittore russo “Il gabbiano” ed in quel luogo verrà prelevato e riportato in sede vaticana.

Non è forse il tema dell’inadeguatezza che lega il film morettiano e la visione della realtà di Čechov? Le tende rosse della finestra che si affacciano su Piazza San Pietro non sbattono ripetutamente come un sipario teatrale dal quale nessun attore emerge? L’attore che nel film impazzisce per essersi troppo immedesimato nella parte e che viene portato via con l’ambulanza  non ha forse un rimando al pazzo di Gogol’ citato ne “Il gabbiano”?

Carlo Grabher, traduttore delle opere di Čechov afferma:

I veri eroi Čecoviani soffrono di non sapere e la loro volontà, sebbene si spezzi dinnanzi all’azione e si ripieghi vinta, non rinuncia, almeno, a un’ispirazione iniziale; essi vorrebbero sapere, vorrebbero agire, vivere, e questo slancio impotente costituisce il vero principio dinamico del loro dramma. L’anima dei veri eroi Čecoviani si trova in una situazione spirituale di una ambiguità delicatissima: essi non amano la loro vita, perché non sanno viverla”.

E comunque “Habemus papam” rientra per fortuna nelle fila del vecchio stile di Moretti, quello per intenderci de “La messa è finita”, “La stanza del figlio”, “Bianca”, “Caro diario”, “Sogni d’oro”, “Palombella rossa”, e non quella de “Il caimano”; ineccepibile l’interpretazione di Michel Piccoli, così come le scenografie di Paola Bizzarri.


Sul finale qualcosa da dire ci sarebbe: in qualche modo lo definiremmo scontato e con un senso quasi di “non finito” e al contempo con  un riferimento alla pagina evangelica di Giovanni (forse non voluto?!).

Ai più potrebbe sembrare un finale in cui il personaggio si arrende al peso della sua debolezza, resa questa che sembrerebbe essere un’abdicazione non solo al soglio ma ben più alla fede, invece vi è una bellissima lettura del dialogo finale tra Gesù risorto e Pietro. Dopo che il Risorto domanda per ben tre volte a Pietro se lo ama, richiamando le tre volte in cui lo rinnega, questi alla fine si arrende quasi sconsolato: "Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene" (Gv 21,17). A questa resa ecco che il Risorto gli affida definitivamente il gregge dei credenti (“Gli rispose Gesù: "Pasci le mie pecore”) ricordandogli una dimensione di continua resa: “quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi” (v.18). La parabola quindi sembra chiudersi in un lasciare che la propria debolezza non venga confusa con la forza che riposa in un Altro che conduce, così Melville può alla fine affermare:


“Non voglio condurre, ma essere condotto”.

“Habemus Papam”
un film di Nanni Moretti

Moretti ospite alla trasmissione televisiva di Fabio Fazio “Che tempo che fa?”, riguardo alle varie polemiche suscitate dal film ha commentato:

“Sul mio lavoro c’è libertà di opinione …”


Alcuni tra i cattolici, commentando il film, lo hanno definito “ben fatto”, “intelligente”, nel quale “i cardinali sono raccontati con simpatia affettuosa” da uno sguardo “acuto”,

nel quale però

Dio è il grande latitante”.

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Valente C.