mercoledì 9 marzo 2011
mercoledì 9 marzo 2011
Shutter Island
Il soggetto del film di Scorsese, uscito nelle sale cinematografiche italiane lo scorso marzo 2010, è tratto dal romanzo di Dennis Lehane “L’isola della paura”, autore al quale ha attinto anche il regista americano Clint Eastwood per il suo “Mystic River”.
Così come Eastwood ha trasformato il thriller poliziesco di Lehane in tragedia esitenziale, così Scorsese ha improntato il nostro film in questione sulla metafora della divisione della personalità umana dell’epoca moderna, sul sentimento della paura sempre più dilagante nella nostra epoca.
Siamo nel 1954; la scena si svolge al largo delle coste del Maine e precisamente a Shutter Island, un’isola sulla quale sorge un manicomio criminale all’interno di un’antica fortezza. L’agente federale Teddy Daniels, interpretato da Leonardo DiCaprio, è inviato sull’isola, accompagnato dal suo nuovo collega Chuck Aule, per indagare sulla scomparsa di una pericolosa omicida, Rachel Solando, riuscita ad evadere dall’istututo in circostanze misteriose.
Ad attenderli, il dottor John Cawley (Ben Kingsley), che pare adottare metodi moderni per trattare i suoi pazienti, ma sul quale, tuttavia, l’agente Daniels nutre parecchi dubbi e sospetti.
Nel frattempo, mentre iniziano le indagini, sull’isola si sta avvicinando un uragano e a complicare il tutto ci sono i continui ricordi traumatici che affiorano dal passato della mente dell’agente: la sua partecipazione alla liberazione del campo di sterminio a Dachau, la morte di sua moglie durante l’incendio della loro abitazione.
La comparsa ricorrente della figura della bambina nei suoi ricordi, non avrà una spiegazione se non verso la fine del film, quando il dottor Cawley ( e sarà la sua spiegazione), gli svelerà le vere modalità della morte della moglie e tenterà di riportargli alla mente l’esistenza dei due figli.
Proprio su questo ritmo incessante di continui dubbi su ciò che risponde al vero e ciò che incarna la menzogna, su realtà e finzione, su dubbio e certezza, si snoda tutto il film di Scorsese, tenendo lo spettatore in un precario equilibrio su di un’altalena di domanda e risposta con sè stesso, stato emotivo che viene con indubbia maestria registica mantenuto fino all’ultima scena del film.
Lungo tutto il percorso della storia si corre lungo la lama di un rasoio, dove il coinvolgimento psicologico dello spettatore e il ragionamento razionale sono sempre, per così dire, in uno stato di borderline, alternandosi incessantemente tra le dimensioni di ciò che è reale e ciò che può essere immaginario, tra follia e lucidità, tra sogno e realtà, passato e presente, ecc...
Tale imprinting, dato alla storia da Scorsese, è proprio l’aspetto che rende il film interessante e allo stesso momento affascinante, che lo arricchisce di elementi propri oltre che del genere thriller, carico di aspetti legati alla psicologia ed a simboli che rimandano ad essa.
... (ri)pensando a ...
La fotografia di Robert Richardson (“Platoon”, “Nato il quattro luglio”, “J.F.K”, “The Goodf Shepherd”, “Bastardi senza gloria”, ecc ...), con gli opprimenti cieli scuri che sovrastano la scena, ci trascina in un’atmosfera di oppressione e claustrofobia, facendoci da introduzione all’ambiente malato nel quale stiamo per entrare; e anche qui, l’eco della fotografia dei noir si fa sentire ...
Così come è stata studiata nei minimi particolari la colonna sonora; i brani di John Cage, di Penderecki, di Gyorgy Ligeti (di cui ricordiamo qui il brano “Lontano”, già presente in “Shining” di Kubrick), riescono a trasmettere assieme alle immagini anche l’atmosfera ossessiva e da incubo che riveste e costituisce insieme la scatola di contenimento della storia.
Gli indizi che dovrebbero condurci alla verità sono numerosi, sovrapposti, nascosti e velocemente svelati: affiorano lungo il racconto come flash improvvisi, cogliendoci di sorpresa e talvolta, intenzionalmente, confondendoci. I collegamenti di questi indizi dal principio, durante e persino alla fine del racconto tessono il fitto canovaccio, che caratterizza e travolge la narrazione stessa.
Eppure l’autore, pur facendoci strada nel percorso che porta alla fine della storia, accompagnandoci proprio attraverso i numerosi e pur contraddittori indizi, non ci svela esplicitamente e con chiarezza quale sia la soluzione finale.
Se per un attimo abbiamo la percezione di avvicinarci al vero,
nell’attimo successivo tale percezione viene cancellata da nuovi elementi, facendo si che il dubbio si insinui costantemente nella mente dello spettatore.
A quanto pare, per Scorsese, realtà e follia diventano ad un certo punto indistinguibili, come se non esistesse una verità unica ed assoluta.
Teddy Daniels, è realmente lui il folle di tutta la storia?
E’ lui l’artefice del suo dramma e del suo dolore?
Alzandoci dalle nostre poltrone di spettatori le domande che ci porremo saranno davvero numerose e il dubbio nutrito per tutto il film
dagli accavallamenti e dai ribaltamenti delle situazioni,
non farà altro che portarci, ancora una volta,
distanti (forse) dalla verità.
I vostri commenti:
Scheda del film
Titolo: “Shutter Island”
Cast
Leonardo Di caprio, Michelle Williams, Mark Ruffalo, Emily Mortimer, Ben Kingsley, Elias Koteas, Ruby Jerins, Christopher Denham, Curtiss Cook, Nellie Sciutto
Regia
Sceneggiatura
Steven Knight, Laeta Kalogridis
Data di uscita
Venerdì 5 Marzo 2010
Genere: Thriller
Le immagini fotografiche sono tratte da INTERNET
Citazioni, chiari riferimenti, allusioni ... Scorsese ha sicuramente dato ricchezza al film attingendo alla sua cultura cinematografica: le atmosfere cupe e buie dei noir anni quaranta e successivi di Fritz Lang mischiate ad una precisione ricostruttiva delle ambientazioni cara ad Otto Preminger; gli elementi ricorrenti quali il faro dell’isola, la scala a chiocciola, il mal di mare di Daniels, ci riportano ad Hitchcok e il suo “La donna che visse due volte”, dove l’elemento dell’acqua che è qui sostituito da quello dell’aria; tutto ciò provoca le vertigini in James Stewart, anche lui tormentato dal ricordo e dai sensi di colpa.
Onorina,
la tua lettura è ambi o poli-valente, come il film. Non si comprende se la verità sia una interpretazione a cui si giunge nel vedere il film o se si è invitati dallo stesso protagonista o dal regista ad avere una nostra interpretazione.
Ma è davvero così poli-valente la verità? Non si arrischia forse il film ad una "censura" delle interpretazioni possibili con il riferimento all'incarcerazione del condannato, alla possibile lobotomia finale? Non sembra invece proprio apparire la "dittatura" dell'unica verità?
Mario