Caleb è un giovane programmatore che vince un premio all’interno dell’azienda per cui lavora; tale premio consisterà nel  passare una settimana presso l’abitazione del suo capo, Nathan Bateman, dove avrà l’opportunità di lavorare con lui ad un progetto segreto. Il nome Caleb è di origine ebraica - kelebh - e significa “cane”: viene usato in riferimentoto alla devozione verso Dio ma qui nel film ci sembra rimandi di più ad uno dei dodici esploratori che Mosé invia ad esplorare la terra promessa e, assieme a Giosué, ad entrarvi. Come il personaggio biblico, così anche il giovane esploratore è invitato ad entrare in relazione con quel mondo nuovo che è l’A.I. Anche Nathan ha un nome che deriva dall’ebraico -  dal verbo natan, dare, e significa “egli ha dato” - e anche questo nome ci sembra suggerire la sua identità: Nathan dà Ava, lei è il suo prodotto, è la sua creatura. Se Nathan ha creato un’intelligenza artificiale, Caleb è colui che è stato scelto per testarla; il metodo è il test di Turing, quello per mezzo del quale, formulando domande, si dovrebbe riuscire a stabilire dalle risposte che si ricevono se ci si trova innanzi ad un essere umano o a una macchina, se Ava sia quindi una macchina intelligente in grado di pensare o meno.

L’ A.I. si chiama Ava ma la pronuncia nel film è “Eva”: il rimando è ancora alla bibbia, al nome della prima donna genesiaca. Ava è assetata della conoscenza, come Eva vuole autonomia dal suo creatore/fattore, uscire dall’Eden ...


L’azienda di Nathan, invece, si chiama “Blue Book”. Anche in questo caso c’è un chiaro riferimento ad altro: il Libro Blu è il titolo di un testo di Ludwig Wittgenstein, filosofo e ingegnere austriaco, in cui l’autore riflette sul linguaggio, sul senso con cui si attribuiscono significati univoci alle parole:

Il film è attraversato quindi da continue duplicità: nei personaggi, nelle cose, negli ambienti ... La costante è la contrapposizione ed insieme la coesistenza di artificiale e naturale, di uomo e macchina, di un ambiente esterno e naturale - con la maestosità delle sue rocce e del ghiaccio - che si oppone invece alla casa di Nathan, costruita con materiali high-tech quali cemento, vetro, acciaio. Solo due esempi di una promiscuità o di compenetrazione ci vengono offerti in questa ambientazione: una una parete rocciosa, che si insinua nella sala dove è appesa un’opera di  Pollock ed un albero che delimita la stanza di Ava, forse anche questo segno e rimando di quell’altro albero situato al centro del giardino dell’Eden.


La figura di Nathan composta da genialità e forza muscolare esprime una fisicità da maschio in contrapposizione sia con la sua vulnerabilità e solitudine, sia con il giovane Caleb, fisicamente etereo e delicato ma anche lui orfano e senza alcuna fidanzata. Nathan, come è del genio, tende all’auto-distruzione, spesso ubriaco, è egoista e rappresenta l’umanità nella sua bivalenza di intelligenza/corruzione.

Queste contrapposizioni e duplicità spiazzano e confondono - volutamente - di continuo lo spettatore.

Veniamo ora al titolo: anche qui ci si riferisce chiaramente alla tragedia greca e all’attore che doveva simulare l’intervento divino e che veniva fatto calare dall’alto tramite argani, la “mechanè”; per estensione, l’espressione deus ex machina è andata ad indicare un personaggio o un fatto in grado di risolvere e concludere, all’interno di una narrazione, la stessa trama, ma con modalità del tutto diverse rispetto ai canoni e ai fatti che si sono venuti a delineare.

E questo è ciò che succede esattamente nel film: Caleb scopre ciò che in realtà Nathan ha fatto all’interno del suo laboratorio. Egli ha creato diverse A.I. di sesso femminile e le ha poi distrutte, di volta in volta, fino ad arrivare all’ultimo prototipo, Ava.

Ora, però, ci appare citata la favola di Charles Perrault: “Barbablu”. Nathan infatti tiene i resti delle precedenti A.I. - 6 come le 6 mogli della favola - chiuse dentro a degli armadi e, come nel finale della fiaba dove è solo l’ultima moglie del terribile Brabablu a salvarsi, qui accadrà per Ava.

Ava flirta con Caleb ( e ci chiediamo assieme a Caleb se si tratta di una macchinazione o di sentimento autentico), cercando di conquistarlo attraverso una serie di colloqui che si svolgono al di qua e al di là di un vetro, tra verità e finzione. Caleb pensa allora ad un piano per  portarla via da quel luogo/prigione dal quale non era mai uscita prima; qui la sorpresa finale: Nathan verrà ucciso e Caleb rimarrà intrappolato nell’edificio.

Ava, nella stessa maniera di un umano, prova dei sentimenti, teme di morire e alla fine mostra la sua irriconoscenza ...

Ma ancora una volta il riferimento al brano genesiaco ci appare evidente: là era un serpente a ingannare con le parole e le lusinghe Eva, qui è Ava a lasciar interpretare le sue parole e i suoi gesti a chi quelle stesse parole e gesti ha codificato.


Da sempre, nella storia del cinema e della fantascienza, le A.I. sono identificate con figure di sesso femminile: basti pensare a “Metropolis” con il robot Maria o al più recente “Her” e al suo computer Samantha che si manifesta come voce femminile fuori campo; qui Ava possiede solo un volto, delle mani e dei piedi “umani”; per il resto il suo corpo etereo quasi smaterializzato è fatto di acciaio e trasparenze.

Un ultimo riferimento interessante ci sembra sia quello dedicato all’arte: c’è un’opera di Pollock appesa ad una parete della casa di Nathan. Di fronte al dipinto avviene un interessante dialogo tra Nathan e Caleb; entrambi riflettono sul caso e la predeterminazione della scelta del colore, del tratto ... che cosa sarebbe accaduto se l’artista avesse stabilito di tracciare le pennellate con intenzione e non secondo le regole dell’action painting?

La risposta: la tela sarebbe rimasta vuota.

E se Ava fosse stato un Pollock e nei suoi infiniti automatismi avesse avuto una traccia di autocoscienza di sè, della sua presenza, del suo Io? La Natura può prevalere sull’Arte?

Anche qui l’ ennesima contrapposizione: Nathan costruisce l’ A.I., progetta con un altro linguaggio realtà artificiali, dimensioni che si oppongono al liguaggio artistico di getto che invece lascia libero spazio all’espressione inconscia della psiche ... l’opera di Pollock.

L’attrice svedese Alicia Vikander, che interpreta la parte di Ava, è vincitrice agli Oscar 2016 come attrice non protagonista per un altro film, per altro non meritevole di grandi standing ovation, “The Danish girl”; ci piace ricordarla invece nell’ottima interpretazione in “Royal Affair”. Ma il vero protagonista, meritevole di attenzione in “Ex Machina”, è per noi l’attore guatemalteco Oscar Isaac: bravissimo nella resa dell’enigmatico scienziato Nathan e nel dettare i tempi e la forza del racconto.

Umberto Galimberti: “Il dominio della tecnica

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Attori: Domhnall Gleeson, Oscar Isaac, Alicia Vikander, Chelsea Li, Evie Wray, Sonoya Mizuno, Corey Johnson, Deborah Rosan

Sceneggiatura: Alex Garland

Fotografia: Rob Hardy

Montaggio: Mark Day

Distribuzione: Universal Pictures

Paese: Gran Bretagna

Durata: 108 Min

   Le immagini fotografiche sono tratte da INTERNET

 
 

      Scheda del film

         tratto da internet

“Il pensiero umano s’è innamorato di se stesso, anzi di un frammento di se stesso che è il "pensiero come calcolo".

E l’idea di poter calcolare tutto, vita e morte, salute e malattia, potenza e dominio, vulnerabilità e invulnerabilità,

persino la morte giocata sulla vertigine della sopravvivenza prolungata è un puro piacere di potere, perché abbiamo perso

il gusto della vita con la sua precarietà, e ci siamo innamorati delle possibilità del pensiero che, nella sua euforia vertiginosa, non teme d’utilizzare anche l’uomo come materia prima per compiacersi della sua potenza.”

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Nathan l’ha programmata per essere eterosessuale così come la natura ha fatto con Caleb. Ma Caleb non si trova d’accordo con Nathan sul fatto di essere stato programmato e Nathan ribatte: “Perchè, l’hai scelto?”.

Qui si innesca tutta una serie di pensieri e riflessioni che si muovono attraverso la scienza e la psicanalisi, di quanto nell’uomo ci sia di automatico e quanto non possa essere prevedibile ...

- una pellicola interessante, intelligente... chi sa se anche artificiosa!?

M.B.

“Non quello che uno fa in questo momento, un’azione singola, ma tutto quanto il

brulicare [das Ganze Gewimmel] delle azioni umane, il sottofondo su cui vediamo

ogni azione, determina il nostro giudizio, i nostri concetti e le nostre reazioni ”

(Zettel. Lo spazio segreto della psicologia”, Einaudi, Torino, 1986, § 567).

Il riferimento a Wittgenstein viene inoltre sottolineato con il ritratto, opera del 1905 di Gustav Klimt, della sorella Margarethe e presente in una stanza della casa di Nathan.

Siamo così rimandati al senso del dialogo e alla sua ambiguità: Caleb dovrebbe capire dalle risposte che riceve da Ava se questa sia in grado di pensare proprio a a partire da come essa usa il linguaggio. Ma come può il linguaggio essere capace di rivelare qualcosa se le parole che lo animano possono essere esse stesse ambigue?